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Caracciolo De' Principi di Fiorino, Enrichetta

222803
Misteri del chiostro napoletano 25 occorrenze
  • 1864
  • G. Barbèra
  • Firenze
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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Caracciolo De' Principi di Fiorino, Enrichetta

l'infelice vomitare un torrente di sangue. In tale stato deplorabile, e col pericolo che da un istante all'altro potesse l'infermo rimaner esangue, ci

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, rimasto col piedino alzato, in quell'atto stesso che dava un calcio a M. C., giovinetta uscita del monastero; di talune percosse, date dalla statuetta

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, se le visite dei parenti non m'avessero ogni volta ricordata la perduta libertà, e se le monache col loro triviale cicaleccio, colle loro volgari

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giorno, e finì col restate in chiesa poco men che solo. Le monache erano ocoupate a preparare le loro pasticcerie. Il predicatore non avendo vedute

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, scendeva nel parlatorio, ove per altrettanto tempo rinnovellava gli spirituali abboccamenti col confessore. Per cagione di sì frequenti e lunghe assenze

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a me, gli sarebbe stato chiuso l'uscio della casa. Nè mio padre nè mia madre mi fecero consapevole dell'ambasciata avuta. Seppi l'accaduto col mezzo

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nella cella dell'inferma l'accompagnai con gli occhi umiliati a terra, col sentimento dell'abdicazione che avevo fatta ad ogni commozione tenera, col

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affetto singolare per gli animali, e specialmente per le rondini. Seduta nel vano della finestra, col capo appoggiato alle braccia incrociate, passava

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rivolgere sia un'allocuzione od un avvertimento, duravasi fatica a raccapezzare quello che avesse voluto conchiudere col suo diffuso sproloquio: idee

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profondo senso di riprovazione era io costretta ad assistervi! Contro tali preghiere lo spirito mio protestava col più energico disprezzo, ed innalzava

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fanatiche pe' preti; un altro di giovani, non nemiche del progresso e della civiltà; il terzo delle educande, che non facevano lega col primo, nè

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, e col generale Torchiarolo, altro inquilino dell'abitazione, persona di qualche merito. La principessa, venuta una sera a visitarmi, disse aver

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giusta, che io deponessi l'abito benedettino, vestissi puramente di nero, ed abitassi celibe nella casa materna col titolo di canonichessa. Data ch'ebbi

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entrò col lume una conversa, e le tenne dietro la priora, munita di sali e di caraffini, che volle farmi odorare. Le dissi aver immaginato, e voler

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filantropia costituivasi garante del mio ritorno al chiostro. Sua Eminenza rispondeva di nuovo: "No." Alfine mia madre spirò col dolore di non aver

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"Recitate un'Ave Maria per me," disse, benedicendomi distintamente. "Requiem eternam!" risposi. Aperto carteggio col vescovo di Castellamare, lo

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turco, e il governo napoleteno ha per giunta un gastigo dell'Inquisizione: la tortura. Ed ecco come: Uno sbirro, Bruno, tiene gli accusati legati col capo

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all'Austria. Ei fuggì e ci rubò; ci rubò come un masnadiere, insultandoci col motto di non doverci lasciare che gli occhi per piangere. Rubò i depositi dei

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sottana nera, non conservo per essa risentimento. Ho deposto i miei rancori col velo nero che lasciai sull'altare. E di molti insegnamenti pratici mi

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promessa era in contrasto col suolo, che tuttavia oscillava sotto l'impulso del tremendo fenomeno. Le genti fuggivano a tutta possa dalle case loro. Il

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potevano dunque aver luogo nei detti giorni. Fu per tanto imbalsamato il suo cadavere, e si attese che trascorso fosse il periodo di gala. Intanto col padre

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il suolo di quella chiesa il terreno stesso che era anticamente occupato dal tempio di Cerere, il quale con quello dei Dioscuri, col teatro grande e

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parola sposa mi colpì; ma per quanta attenzione usassi, non mi venne fatto raccogliere altro del loro discorso. Il mio affetto aumentò col vederlo più

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reclusioue monastica, oppure tolta di vita col veleno. Nè l'interna penisola poteva offrire qualche scampo a colui, sul capo del quale caduti fossero i

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col quale si sopprimono dal Governo Italiano i conventi, e disingannare a un tempo coloro, se pur ne restano ancora di buona fede, che tenesser quei

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